Ottobre 2013
Cronache dal paese in cui si mangia meglio: gli USA
L’Italia patria del mangiare buono e sano? Roma capitale delle eccellenze gastronomiche? Assolutamente no. A contraddire il cliché della supremazia italiana per qualità e gusto degli alimenti è Daniele Tirelli, Presidente di Popai Italia (Point of Purchase Advertising International).
«Un modo sicuro per autoingannarsi anche nelle questioni gastronomiche – dichiara Tirelli –, consiste nell’aderire al principio antropocentrico per cui l’“io che pensa, parla e giudica” è al centro di un mondo ideale creato per lui. Forse non è esagerato dire che l’ultimo barlume di nazionalismo italiano rimane quello culinario. La storia insegna però che anche il “buon mangiare” segue le evoluzioni del potere, soprattutto economico.
Il cuore dell’“impero irresistibile” restano ancora e comunque gli Usa che, come tutti i centri di potere, attraggono le migliori produzioni del mondo conosciuto e ne sollecitano in continuazione il miglioramento qualitativo attraverso il commercio, la ricerca e l’innovazione. Nel mezzo dei flussi dall’Europa e dall’Asia nonché dai paesi tropicali e australi (che producono in controstagione), gli Usa accolgono e filtrano ogni tipo di suggestione alimentare, fondendola in proposte culinarie sempre in divenire.
Il loro universo distributivo – continua il Presidente della divisione italiana dell’associazione internazionale nata per promuovere la cultura del punto di vendita e del retail all’interno del marketing mix – spazia attraverso tutti i formati vendita, dai più economici ai più sofisticati e selettivi e consente a una parte ampia delle sue classi medie di coltivare l’hobby della cucina e il piacere di una “tavola” priva di confini. Senza conoscere realtà come Draeger’s, Corti Bros e Nugget Market (CA); Kowalski’s (MN), Mariano’s (IL), Diegberg’s (MO), King’s, Balducci’s, Garden of Eden, Fairway (NY), Southern Season (SC), Dorothy Lane (OH), Central Market (TX) e tanti altri, non è possibile giudicare la relazione tra cultura alimentare popolare e un circuito distributivo che non solo accoglie e diffonde tante specialità italiane, ma che spesso, attraverso l’import, è determinante per la loro sopravvivenza.
Senza conoscere l’apporto al processo di crescita della cultura alimentare popolare offerta dalle dimostrazioni nelle scuole di cucina presenti in tanti supermercati, non si può comprendere questa realtà. E qual è l’influenza della sterminata editoria multimediale specializzata che si rivolge al mondo intero? La dogmatica gastronomia italiana si preoccupa dell’ortodossia delle ricettazioni e trascura il fatto che il “mangiar bene” implica esplorare e includere nel menu esotismi come il durian, il jackfruit o i Buddha’s finger, o innovazioni come le Cotton Candy Grapes, oppure elaborati come la Dry Aged Beef, e tutti i più diversi cereali.
È dalla ricchezza delle basi disponibili e dalla presenza di un pubblico multi-etnico – conclude Tirelli – che la cucina può esprimere al meglio se stessa seguendo due vettori: il relativismo culturale e lademocratizzazione del menu, sfruttando le opportunità di un enorme mercato. Se Robert Venturi invitava gli architetti a imparare da Las Vegas, dobbiamo suggerire ai cultori della tavola di imparare esplorando quel che offre lo sterminato universo di oltre 900mila ristoranti americani e di migliaia di supermercati che sarà oggetto di questa esposizione».
Il Presidente di Popai Italia approfondirà l’argomento nel corso dell’evento “Italia’s food talent”, il prossimo 8 novembre, a Montecatini Terme.